Intervista ad Andreina, missionaria in Uruguay

Copia di IMG_5800 (1)Su queste pagine da sempre si parla di missione, con uno sguardo aperto su tutte le dimensioni in cui la dinamica dell’annuncio e della testimonianza si esplicita. Papa Francesco ce lo ricorda sempre: «Una Chiesa in uscita, missionaria, è una Chiesa che non perde tempo a piangere le cose che non vanno …. non cerca “oasi protette” ma desidera solo essere sale della terra e lievito per il mondo. Sa che questa è la sua forza, la stessa di Gesù: non la rilevanza sociale o istituzionale, ma l’amore umile e gratuito».

Andreina, Comi missionaria in Uruguay da molti anni, è rientrata a Roma per un breve periodo di riposo, e a lei abbiamo chiesto di condividere qualcosa del suo impegno.

 

  1. Ciao Andreina. Tu sei stata missionaria in Uruguay dal 1988 al 2006. Sei rientrata in Italia perché eletta Responsabile Generale delle Comi e nel 2015, terminato questo servizio, sei ripartita per la missione. Stesso paese, Uruguay, stessa città, Montevideo, stesso quartiere di periferia, il Cerro. Come hai vissuto il tuo rientro in missione dopo la pausa di nove anni?

 

  1. Partirei da una premessa: di solito ritornare in un luogo dove hai vissuto per tanto tempo ti crea nell’animo delle attese, ma anche nel fondo qualche sicurezza, per lo meno per quanto riguarda i tuoi propositi, il desiderio di rivedere qualcosa e qualcuno a te caro, con cui hai condiviso un buon tratto del cammino. Anch’io sono partita con questo stato d’animo, accompagnata dal profondo desiderio di mettermi ancora una volta al servizio di quei fratelli e nelle situazioni in cui il Signore me li avrebbe fatto incontrare.

Appena arrivata in Uruguay, ho capito subito che molte cose erano cambiate nel frattempo e man mano che passavano i mesi, intravedevo altri cambiamenti importanti anche per me.  Non sono riuscita a reinserirmi nel mio lavoro professionale (mettere da parte il mio lavoro di medico non è stato facile!), mentre sorgevano altri impegni a livello di pastorale – parrocchiale e diocesana-  e con gli Istituti Secolari.

Ho cominciato a offrire il mio servizio di volontariato nel Centro Educativo Talitakum, una scuola di avviamento al lavoro, per ragazzi dai 12 ai 18 anni, che non riescono per diversi motivi ad inserirsi nei corsi di studio statali. Siamo nel Cerro, quartiere alla periferia di Montevideo, con tutta una realtà di povertà a più livelli.

 

  1. Molti di noi conoscono Talitakum perché ci sono state delle iniziative di sostegno e di animazione, ma forse puoi dirci qualcosa di più su questo progetto.

 

  1. Nel Centro, gli alunni – ragazze e ragazzi- accedono a corsi, comuni per tutti, di cultura generale, informatica, formazione cristiana, lavoretti manuali con materiali diversi, sport, orticultura, ed inoltre possono scegliere tra corso di taglio e cucito (abiti e accessori), gastronomia, elettricità e lavorazione del ferro. È cominciato così per me un capitolo nuovo sotto tutti gli aspetti: lavoro, relazioni, destinatari del mio servizio, tante sfide a cui potevo cominciare a rispondere solo con lo “stare” e disponendomi a imparare ad amare e dialogare con questo modo giovanile, ferito, disatteso perché difficile, vulnerabile nella sua fragilità e allo stesso tempo tanto bisognoso di essere umanizzato, di essere “risvegliato“ alla sua dignità. E questo è racchiuso in quella parola detta da Gesù alla fanciulla “Talitá kum”, “Io ti dico alzati”. Questo spiega perché noi non parliamo di Corpo docente e non docente: noi adulti, ognuno con il suo contributo e nel servizio che offre, costituiamo la “Comunità educativa”.

 

  1. Quindi il tuo essere missionaria oggi si esprime soprattutto nel servizio per questi giovani.

 

  1. Posso dire che il mio impegno missionario comincia da qui, non tanto dal fatto che io sia o no una docente, ma dal fatto di costruire le relazioni con i ragazzi, aiutarli ad aprire il loro sguardo su un orizzonte più ampio, riscattando la stima di sé stessi, la speranza, il sogno che fa osare… Comincia dal costruire la relazione con le loro famiglie  per coinvolgerle nel processo educativo, dove loro devono svolgere il loro ruolo. E ancora dal costruire la relazione con la Comunità educativa, nello sforzo comune di dare il meglio, attraverso una buona testimonianza, nell’unità e nella qualità dei contenuti di ogni corso. E questo comporta all’esterno l’impegno di lavorare in rete con altre organizzazioni statali che si adoperano per accompagnare  gli adolescenti con altre iniziative.

 

  1. Il 2019 è stato un anno che ha portato delle novità anche nella esperienza del centro.

 

  1. Lo scorso anno è stata un’esperienza ricca anche per altre caratteristiche, che hanno costituito delle sfide per la comunità educativa: maggior numero di iscritti, circa 100 alunni, l’esperienza dell’estensione oraria (8,45- 15,45) ed ancora “ad experimentum”, la creazione di un terzo anno di corso, con contenuti più dettagliati e approfonditi, che permetta agli alunni di accedere al mondo del lavoro. Si è aggiunta la presenza di quattro giovani, che attraverso il volontariato civile e la ONG Comi, hanno offerto il loro servizio per un intero anno: Daniel, Lia, Alessia e Jessica. Essi hanno animato altri corsi che sono risultati importanti per gli alunni; si sono aggiunti musica, teatro, attualità, inglese e memoria storica. La novità di questa presenza ha contribuito a donare una ventata di aria nuova a tutti, a far scoprire ai ragazzi interessi e capacità potenziali che erano dentro di loro, nascosti e che potevano venir fuori solo se “risvegliati”.

La mia esperienza non è completa se non condivido anche ciò che ho ricevuto da questo tempo trascorso in Talitakum. Di fronte a questi ragazzi mi sono sentita ricca di ciò che io avevo vissuto e ricevuto alla loro età, non solo le conoscenze e i contenuti, ma specialmente quella fiducia che mi è stata offerta e che, rafforzandomi, mi ha permesso di superare i miei limiti o incertezze, quella fiducia che si è trasformata in molla per andare avanti e rimanere ferma nei miei sogni e nei miei propositi.

Sento che è un “devo” (un debito) che posso restituire solo facendo altrettanto con questi giovani. E questo mi da gioia ed entusiasmo, perché con loro posso continuare a sognare e amare. Ringrazio il Signore perché me li ha messi accanto.

 

  1. Certamente ci sono altri ambiti in cui si manifesta il tuo essere missionaria.

 

  1. R. Sono responsabile del coordinamento degli Istituti Secolari in Montevideo, ed è un servizio alla Chiesa locale molto interessante. C’è poi tutta la realtà del mio condividere l’esperienza di ogni giorno con le mie sorelle Comi. In Uruguay siamo in tre, e anche in Argentina c’è una Comi e una giovane in formazione, che da quest’anno accompagnerò nel suo cammino. Abbiamo anche delle laiche, senza voti, che condividono il nostro carisma e ci affiancano nella missione. La realtà in cui viviamo è caratterizzata da tante forme di povertà, non solo materiale, e la nostra presenza accanto alla gente dice quella parola di speranza di cui il mondo ha bisogno.

L’altro mio impegno è il coordinamento dell’Equipe missionaria diocesana, che ha assunto il compito di realizzare l’animazione missionaria offrendo, alle parrocchie e collegi cattolici, corsi di formazione missionaria per gli agenti pastorali. Naturalmente poi ci sono delle attività puntuali da realizzare, come per es. l’animazione ad hoc dell’ottobre missionario, o la partecipazione ad altri eventi proposti dalla diocesi.

In generale bisogna dire che non sempre e non solo  si tratta di fare alcune cose ma di essere. Noi cerchiamo di essere sale della terra e lievito per il mondo. Non è facile in una società così laicista e scristianizzata, ma contiamo sulla forza di Gesù, e, come Lui, cerchiamo di dare un po’ di amore a quanti incontriamo, con un cuore umile e libero.

La missione appartiene a Gesù: a noi è richiesto di fare la nostra parte, sarà Lui di portare a compimento l’opera.

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